Tra anni ottanta, musica e ricordi, Elisa Amoruso realizza un film nostalgico, e malinconico.
Di Gianluca Bernardini
Dopo essersi cimentata nell’universo femminile con due documentari, tra cui quello sulla celebre influencer “Chiara Ferragni: Unposted”, Elisa Amoruso torna in sala con un film che la riguarda personalmente, frutto dei propri ricordi d’infanzia, dal titolo suggestivo “Maledetta primavera” (come la famosa canzone di Loretta Goggi che compie quarant’anni proprio in questo 2021).
Un racconto di formazione con protagonista Nina (l’esordiente Emma Fasano), una ragazzina romana, costretta per problemi economici familiari, a trasferirsi in periferia con i propri genitori (Micaela Ramazzotti e Gianpaolo Morelli) e il fratellino Lorenzo (Federico Lelapi). Un nuovo universo da affrontare, una nuova scuola da frequentare con nuovi compagni di classe che sente del tutto estranei. Tranne una, Sirley (Manon Bresch), “diversa” come lei, che proviene dalla Guyana francese, chiusa nel suo mondo, con la quale Nina entrerà in relazione, partendo inizialmente da uno scontro che poco per volta si svelerà non solo possibilità di compagnia, ma anche occasione per conoscere meglio se stessa in una fase di passaggio critica come può essere l’adolescenza, a volte difficile da decifrare.
L’Amoruso entra così in tempo “altro”, che la telecamera cerca, con sguardo femminile, di rendere in ogni modo sempre meno distante, facendoci percepire tutto il non detto (forse troppo). A tratti il film sembra ricordare “Corpo Celeste” (2011) di Alice Rohrwacher (per la protagonista, l’utilizzo dell’immagine e il riferimento alla religione con la processione della Madonna). Qui permane però uno sguardo più malinconico e una nostalgia per ciò che non tornerà più. Da vedere, dunque, soprattutto per chi ha voglia di tornare indietro con il tempo, cullato da una colonna sonora che ha reso celebre la fine degli anni ottanta.
Temi: adolescenza, famiglia, amicizia, amore, formazione, integrazione, crescita, periferie