Ritorna sul grande schermo Sam Mendes, con un film estremamente personale sul cinema, amore e sulla depressione. Empire of Light riuscirà a mostrarci anche uno spiraglio di luce?
Di Gianluca Bernardini
Nessuno si salva da solo. Lo sappiamo bene, in fondo, e magari abbiamo imparato come un mantra quest’espressione che non fa altro che ricordarci che la salvezza viene sempre da un “altro”. Lo sanno anche i protagonisti di “Empire of Light”, l’ultimo film di Sam Mendes (“1917”, “Revolutionary Road”, “Era mio padre”, “American Life”, “American Beauty”, tanto per menzionare alcuni titoli), sceneggiatore, regista e produttore, che ha voluto mettere in scena una storia, ispirata ai propri ricordi, ambientata negli anni Ottanta sulla costa inglese.
In una cittadina del Kent si affaccia sul mare il cinema Empire (altro vero protagonista!), luogo di incontro tra Hilary (Olivia Colman, scelta dopo il suo ruolo in “The Crown”) e Stephen (Micheal Ward II, attore emergente). La prima è vicedirettore della sala. È fedele al proprio lavoro, ma delusa nelle aspettative, ferita dalla vita e spenta nell’animo. Il secondo è la nuova “maschera”, un giovane afro, alla ricerca del proprio posto nel mondo, vittima delle tensioni razziali del tempo, ma carico di sogni. Tra i due esploderà un affetto inaspettato che attraverserà le loro esistenze, tra momenti di gioia e dolore, lasciando tracce di speranza e occasioni di nuovi inizi.
Un film, dunque, sulle seconde possibilità (i secondi tempi come al cinema), carico di sentimenti (le canzoni utilizzate sono la colonna sonora della vita del regista) nonché di emozioni (troppe?), che a volte si accavallano dentro un racconto apparentemente semplice. In tutto questo c’è dentro l’amore assoluto di Mendes per la settima arte, per quel tempo che fu (l’adorata cabina con la pellicola) e per quello che verrà. Il cinema non potrà mai scomparire. “Quando ho scritto questo film nel tempo della pandemia – ha affermato – c’era anche un’altra ossessione comune: temevamo che il cinema e gli spettacoli teatrali sarebbero morti”. “Empire of Light” diventa così un’esperienza catartica, mentre ci ricorda che “la vita è uno stato mentale”.
Temi: cinema, amore, malattia mentale, rinascita, razzismo, vita