Riflessione sui fini e la finitezza dell’esistenza
di Gianluca BERNARDINI
«Il tempo presente e il tempo passato / sono forse entrambi presenti nel tempo futuro, / e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato. / Se tutto il tempo è eternamente presente / tutto il tempo è irredimibile». Apre con Eliot, Yaron Zilberman, il suo primo lungometraggio «A late quartet», dal titolo italiano emblematico «Una fragile armonia», ora in sala. Ed è proprio questa forse l’indicazione con cui leggere il film che narra, a prima vista, la storia del «Fugue», un celebre quartetto d’archi, insieme da 25 anni con una pregevole carriera alle spalle. Cosa si cela sotto un faticoso e meritato successo? Come si può restare uniti così a lungo? Con quale guadagno e a quale prezzo? Dietro a Peter, il vecchio «maestro» e anima del gruppo, a Daniel, il «giovane» allievo e meticoloso primo violino, ai coniugi Robert, secondo e «represso» violino, e Juliette, eternamente in bilico tra famiglia, sentimenti e carriera, c’è il prezioso racconto di una vita, scandita dall’amore per la musica. Quando, però, a Peter viene diagnosticato l’inizio del Parkinson la faticosa e fragile «armonia» sembra sfaldarsi. Escono da qui antichi dissapori, ambizioni represse (compresa la voglia di essere seriamente amati) e le mal celate manie perfezionistiche che solo chi si dedica con la vita all’arte può conoscere. Così mentre l’opera 131 di Beethoven per quartetto d’archi dovrebbe sancire il saluto del più anziano del gruppo, con relativa sostituzione, le sue note sembrano piuttosto accompagnare la fine di una solidale e duratura «amicizia». Un cast eccezionale per un film, forse, un po’ troppo pretenzioso. Tuttavia il noto documentarista sa mettere sul piatto una riflessione sui fini e la finitezza dell’esistenza che sa catturare certamente il nostro interesse.
Temi: rapporto arte-vita, fragilità, finitezza umana, amicizia, musica, perseveranza, malattia.