di Gianluca BERNARDINI

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Dopo il successo di «Perfetti sconosciuti», Paolo Genovese torna in sala con «The Place», ispirandosi alla serie tv americana del 2010 «The Booth At The End». Dove come location, questa volta, sceglie non più una cena tra amici in casa, ma il tavolo di un bar ristorante, a Roma, in cui un misterioso uomo (Valerio Mastandrea, sempre bravo) siede ogni giorno al medesimo posto con il suo «libro» annotando i più disperati desideri degli avventori che gli si presentano davanti. Dal poliziotto che desidera ritrovare il figlio alla suora che non sente più la presenza di Dio, dal padre che aspetta il miracolo per salvare il proprio bimbo a chi vorrebbe riacquistare il dono della vista e così via. Una carrellata di nove personaggi, più o meno infelici e disperati, che ad ogni richiesta si sentono ripetere «puoi farlo» in cambio, spesso, di atroci missioni da svolgere. Poiché come dice il «mediatore»: «Penso che la gente sia in grado di fare molto più di quello che crede». Un vero mostro del male o forse, piuttosto, colui che è in grado di svelare i meandri più nascosti e oscuri della coscienza umana? Quanto, infatti, ciascuno sarebbe disposto a barattare di sé pur di ottenere la felicità? Un film complesso e ambizioso, in cui manca, per durata probabilmente, quella «profondità» che solo una serie televisiva avrebbe potuto dare. Un rischio che, tuttavia, il regista romano si è preso, giocando sulla perfomance di molti dei nostri bravi attori italiani, mettendo lo spettatore quasi «a teatro». Proprio nei loro volti, nella loro gestualità, nelle loro espressioni possiamo riconoscere il dramma, i dubbi, le incertezze, la rabbia nonché le ossessioni che accompagnano spesso il nostro animo. Sono le soluzioni drammaturgiche, però, che lasciano qua e là qualche dubbio sulla riuscita dell’intera operazione. Interessante, ma, forse, ci si aspettava di più.

Temi: sogno, desiderio, sacrificio, coscienza, bene, male, amore, morte, vita.