Un viaggio nella psiche umana nell’America degli anni Cinquanta

di Gianluca BERNARDINI

1-69411

«Sarai la mia cavia e il mio protégé», così Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffmam in una superba interpretazione) si rivolge al fragile e disturbato Freddie Quell (lo straordinario Joaquin Phoenix) sulla nave, luogo del loro idilliaco primo incontro, che da San Francisco li porterà a New York. È tutto basato su quest’affascinante e malata relazione, e su quant’altro le gira attorno, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson che amante dell’analisi, passando da «Magnolia» al «Petroliere», si rivela sempre più come perfetto indagatore della psiche umana. Ambientato nell’America degli anni Cinquanta, «The Master» narra la storia dell’ex marinaio Freddie che, uscito devastato dalla seconda guerra mondiale, non riesce a trovare «una libera via d’uscita» nella vita se non nella sua ossessione per il sesso e nelle misture di alcol che egli confeziona da sé. Solo Lancaster, fondatore della «Causa» (una setta ispirata alla chiesa di Scientology), sembra comprenderlo ed essergli necessario. È lui, infatti, «the master» che, attraverso il metodo (una sorte d’ipnosi e indagine introspettiva), sembra essere l’unico ad accettarlo. Tutto qui? Troppo semplice. Non una relazione d’aiuto, piuttosto un rapporto d’insana dipendenza si viene a creare tra i due. Poiché il maestro non sa stare senza il suo protetto, nonostante l’astuta e la vera dominante signora Dodd (Amy Adams) gliel’abbia sconsigliato. Vincitore del Leone d’argento e coppa Volpi ex-aequo per i due protagonisti all’ultimo festival del cinema di Venezia, Anderson porta propriamente sullo schermo la storia di due solitudini che s’incontrano, tanto capace di sorprendere quanto di interrogare. Non sono, infatti, messe a tema qui soltanto la capacità, nonché la malvagità del dominio e del plagio, ma, piuttosto, il racconto delle miserie e delle fragilità umane (che non vengono risparmiate sullo schermo), rivestite di molteplici volti e di contorti aspetti. Complesso nella scrittura e non del tutto lineare nella diegesi, per «The Master» non si può che parlare di cinema di spessore, soprattutto per la splendida fotografia e la capacità dell’uso della macchina da presa, con tre candidature all’Oscar. Il film, tuttavia, non può che essere per un pubblico adulto e preparato.