La vita reale come una favola dal finale non scontato
di Gianluca BERNARDINI
La vita è imprevedibile, si sa. Non così, però, dovrebbero essere le fiabe che, come tutti prevedono, hanno sempre inriserbo un happy end. «Au bout du conte» («Alla fine della storia») di Agnés Jaoui («Così fan tutti» e «Il gusto degli altri»), uscito in Italia con il titolo «Quando meno te l’aspetti», sembra sfatare il refrain di ogni favola: «E vissero tutti felici e contenti». Se in ogni storia che si racconta c’è sempre una «fine», questa non è sempre «lieta e scontata» come tutti si attendono. Si gioca, infatti, qui la commedia «fiabesca» (le scene che sfumano in acquerello ricordano molto le illustrazione di un libro di fiabe) della regista francese, che interpreta pure la parte di Marianne, scritta a quattro mani con il marito Jean Pierre Bacri, anch’egli nel ruolo di Pierre. Quest’ultimo è un uomo maturo, proprietario di un autoscuola, divorziato, con accanto una nuova compagna con figli piccoli che non riesce a sopportare. Alla morte del padre s’imbatte nella veggente che quarant’anni prima le aveva previsto la data delle morte, ormai vicina, e da ora in poi la paura gli condizionerà la vita. Pierre ha un figlio Sandro (Arthur Dupont, una «Cenerentola» in versione maschile), squattrinato musicista balbuziente che troverà in una magica notte al ballo delle principesse, Laura (Agathe Bonitzer) con la quale vivrà una bella eromantica storia d’amore. Marianne, ziadi Laura, impegnata nella messa in scena di una recita per bambini in cui interpreta la fatina (un rimando a Pinocchio) separata, con una figlia preadolescente in fase mistica, incapace persinodi inserire una password per il computer, deciderà di prendere lezioni di guida da Pierre incontrato alla cena in cui i genitori di Laura (padre ricco, ma corrotto, e una madre alla ricerca della perenne giovinezza che ricorda molto la strega di Biancaneve) e quelli di Sandro devono conoscersi per ufficializzare il loro fidanzamento. Tutto qui? No, manca il bel Maxime, critico musicale, affabulatore, eterno conquistatore, il «lupo cattivo» (Benjamin Biolay), che farà perdere, come in «Cappuccetto Rosso», la testa e «la retta via» alla bella «principessa» che si renderà conto dell’accaduto con un brusco risveglio (alla «Bella addormentata»). Un intreccio contorto? Sì, come del resto è la vita reale che, al contrario dei sogni, è pronta a (ri)cominciare anche là dove sembra volgere verso un finale fin troppo scontato.