Colpi di scena in un racconto che prende forma sulla carta
di Gianluca BERNARDINI
Complesso. Intrigante. Affascinante. Intelligente. Perverso. Quali tra questi giudizi più si addice all’ultimo lavoro di François Ozon? Dipende dall’occhio di chi guarda, certamente. Ma credo che se ha un tocco di genialità «Nella Casa» («Dans la maison», questo il titolo originale), questo è nel saper intrecciare e confondere con estrema abilità cinematografica il vero, il verosimile e l’immaginazione. La stessa capacità del sedicenne protagonista di questa storia: Claude (Ernst Umhauer, perfetto nella parte), il ragazzo dell’ultima fila che tutto osserva e tutto restituisce attraverso la sua innata abilità nel raccontare. Quest’ultima emerge sorprendentemente quando Germain (il bravissimo Fabrice Luchini), professore di letteratura al liceo Flaubert, dà come compito la descrizione del proprio weekend. Claude racconta con estrema abilità stilistica la visita presso il compagno Rapha (Bastien Ughetto), la sua famiglia, la sua casa; soprattutto incuriosisce l’insegnante con quel finale «continua», tanto da incoraggiare il talentuoso alunno a procedere con il suo racconto ed evidentemente con le sue visite alla famiglia Artole. Nasce così un complice sodalizio che porterà lettore, mentore, scrittore e lo stesso spettatore, richiamato forse dalla figura di Jeanne (Kristin Scott Thomas), l’eclettica moglie di Germain, a confondersi nei ruoli di una complicata e notevole sceneggiatura firmata dallo stesso Ozon. Tratto dalla piece teatrale dello spagnolo Juan Mayorga «El chico de la ultima fila», il film mette sul grande schermo una storia fatta di suspance e colpi di scena che riescono a incatenare il pubblico alla poltrona fino al sorprendente finale. Se da una parte il regista francese dice di aver girato «Nella casa» per parlare del delicato gioco della parti nel processo artistico, d’altra parte non si può non notare come tutti possiamo diventare vittime di quel voyeurismo che a pelle respingiamo, ma che di fatto spinge la nostra spasmodica sete di sapere (una sorte di malattia di quest’era mediatica?). Come dice Germain al suo giovane studente: «La gente ha bisogno di sentire storie». Sappiamo bene quali potenziali e quale fascino ha «il raccontare». Forse occorre imparare meglio, per la vita, a distinguere i generi e le contaminazioni del racconto. Una lezione per tutti.