di Gianluca BERNARDINI
Ispirato ad una storia vera accaduta in Francia alla fine dell’ottocento, giunge in sala l’ultimo film di Jean-Pierre Améris (che ricorderemo tutti forse per il delicato «Emotivi anonimi» del 2010) «Marie Heurtin – Dal buio alla luce». Presso le suore di Larnay, che si occupano dell’educazione di ragazze sordomute, giunge un giorno, accompagnata dal padre, la quattordicenne Mary (Ariana Rivoire, realmente non udente dalla nascita) che oltre a non parlare e sentire è pure cieca. Dopo un difficile primo incontro le suore, malgrado loro, decidono di rinunciare. Grazie all’ostinazione di suor Marguerite (Isabelle Carré), giovane e ammalata, la piccola «selvaggia» fa ritorno all’istituto, dove, attraverso l’approccio deciso e amorevole della religiosa, Marie, poco per volta, troverà la via per uscire dal «buio alla luce». A metà tra «Anna dei miracoli» (1962) di Arthur Penn e «Il ragazzo selvaggio» (1970) di Francois Truffaut, Améris porta in scena una vera e propria storia di educazione, per non dire di vocazione. Dove la parola educazione (dal latino «educere» = tirar fuori) assume qui una valenza del tutto plastica e singolare. Attraverso una lotta serrata, senza alcuna arresa, suor Marguerite restituisce Marie «al mondo», insegnandole il linguaggio dei gesti. Ciò che nessuno aveva mai immaginato e sperato, accade, tra l’arrendevolezza dell’una e la determinazione dell’altra. Il tutto in nome della vita. Quella stessa che il film delicatamente ci restituisce attraverso le semplicità dei gesti, degli sguardi, delle mani che si toccano e «guardano». Una comunicazione che va oltre le barriere dell’infermità e che dona un tocco di speranza là dove, molte volte, le difficoltà sembrano prendere il sopravvento. Suor Marguerite, una volta capito il codice d’accesso, sa dove vuole arrivare. Senza paura della lotta e del dolore, anche contro se stessa, capisce che la ragazza può essere più di quello che tutti gli altri vedono in lei. Marie ha una testa pensante, un cuore e soprattutto una «voce» che il linguaggio dei gesti farà sentire forte e chiara. Un racconto di «misericordia» che getta luce sui tanti che vivono il difficile compito dell’educare e dell’amare. Perché ogni forma di educazione, se sincera, contiene sempre uno sguardo d’amore. Un film davvero «luminoso».
Temi: educazione, vocazione, infermità, vita religiosa, morte, amore, misericordia, vita.