Dal Taormina Film Festival arriva in sala un film di denuncia sociale veramente originale: il racconto della migrazione dalla parte di chi guadagna sulla sofferenza. E, davanti al dolore, decide di redimersi.
Di Gabriele Lingiardi
Che strana la carriera di Daniel Espinosa. Dopo due thriller ha diretto un buon film di fantascienza ad alto budget (Life) e uno dei film più brutti degli ultimi anni (Morbius). Ora, esiliato da Hollywood, forse per pagare pegno, forse per provare una risurrezione, arriva in sala con Madame Luna. Un film completamente diverso da quanto fatto in precedenza, un’opera dalla bassa spettacolarità e dalla grande intenzione di denuncia sociale. L’esito non è dei migliori, per via di un tono troppo compassato all’inizio e il cedimento alla tentazione “action” sul finale, ma ha un personaggio veramente indimenticabile.
La bravissima Meninet Abraha Teferi interpreta Almaz, una donna fuggita dall’Eritrea per scampare alla violenza. Arriva in Calabria dove un’altra migrante, Eli, la riconosce con il nome Madame Luna. Almaz, è una leader: sa organizzare le cose, sa sopravvivere anche contro i più forti, è colta, conosce molte lingue e naviga bene nella burocrazia italiana. Scopriamo presto che in Libia la ragazza, sotto pseudonimo, aveva lavorato come trafficante di esseri umani. Dura in passato, ora è tormentata dai molti che sono morti in mare per le sue scelte. Forse la donna di oggi può redimere la ragazza di ieri. Eli le chiede un aiuto per suo fratello imprigionato. Madame Luna non può più fare molto, è Almaz che può ancora ritrovare la sua pace. La migliore idea originale è qui: il dualismo della protagonista immerge nel mondo del caporalato, degli scafisti e dei migranti togliendo ogni pietismo. La protagonista è dinamica, attiva, in grado di sopravvivere da sola.
Madame Luna, proprio in funzione delle debolezze nella scrittura degli altri personaggi, interroga sul linguaggio del racconto di migrazione. Afferma il bisogno di trovare nuove prospettive per analizzare un dramma che ormai la settima arte ha ripreso molte volte. Il rischio è l’assuefazione, la spettacolarizzazione fine a se stessa. Il compito dei bravi cineasti è quello di esplorare prospettive diverse, per mostrare nuove sfumature e, soprattutto, per cambiare la percezione delle persone che vivono, nella realtà, i pericoli del viaggio verso una nuova patria. È interessante che a fare tutto questo sia proprio un regista lontano dalla propria origine cinematografica.
Temi: immigrazione, criminalità, donne, solidarietà, viaggio, tratta.