Il nuovo film di Roman Polanski è un racconto storico che offre moltissimi spunti di riflessione. Un film solido, che regge nella sua interezza, da proporre al pubblico delle sale della comunità. Parliamone con un film:
Di Gianluca Bernardini
Che cos’è la verità? O, meglio ancora, come fare verità? Perché, dopotutto, sappiamo che abbiamo a che fare con un lungo «processo» quando si vuole mettere in evidenza ciò che è vero. Ci sono, infatti, diverse varianti in gioco e non è così semplice arrivare ad una «felice» soluzione, anche quando tutto sembra ormai scoperto e sotto la luce del sole.
Un tema caro, pagato sulla propria pelle, a Roman Polanski (da piccolo visse nel ghetto di Varsavia) che con «L’ufficiale e la spia» (avremmo preferito il titolo originale «J’Accuse») porta in scena un racconto che sconvolse l’opinione pubblica francese alla fine del XIX secolo.
Presentato all’ultimo festival di Venezia e vincitore del gran premio della giuria, il film racconta la vicenda del capitano ebreo Alfred Dreyfus (Louis Garrel), promettente ufficiale, che venne degradato e condannato all’ergastolo all’Isola del diavolo con l’accusa di spionaggio per conto della Germania.
A presenziare alla condanna e poi in seguito a capo della Sezione di statistica, la stessa che aveva mosso le accuse contro Dreyfus, l’ufficiale Marie Georges Picquart (Jean Dujardin) che, dentro le logiche militari, poco per volta, sorretto dall’opinione pubblica, divisa tra l’innocenza e la colpevolezza del capitano (tra cui un articolo di difesa di Émile Zola, chiomato per l’appunto «J’Accuse»), arriverà a provare la «verità» dell’esiliato. Tra errori giudiziari e antisemitismo, il lungometraggio, tratto dal romanzo omonimo di Robert Harris (co sceneggiatore pure con Polanski), regge dall’inizio alla fine. Con il piglio dell’indagine e la capacità di regia del maestro di origine polacca, nota al grande pubblico, la storia di allora fa eco alle stesse dinamiche che ancora oggi rischiano di essere perpetuate (anche nel suo caso?) nel mondo. Non sempre, infatti, ciò che si dice e si diffonde pubblicamente è indice della «verità dei fatti». Non basta nemmeno mostrarlo a tutti (emblematica la scena iniziale) per dire che le cose stanno così. Anche se, questo il dramma, a ragion veduta, si fa fatica a far «memoria» e ciò che resta nell’immaginario collettivo è difficile, a volte, da sconfiggere. Un monito alla vigilanza anche per questi tempi immersi nell’era mediatica, croce e delizia del popolo. Da vedere, senza dubbio.
Temi: verità, opinione pubblica, accusa, innocenza, antisemitismo, memoria.