di Gianluca BERNARDINI
«C’è una differenza tra sentirsi soli ed essere soli». Già, lo è e lo sa bene Lucky (Harry Dean Stanton, perfettamente nel suo ruolo), il protagonista di questo piccolo e simpatico film. Alla soglia dei 90 anni, ex marinaio, esperto di cruciverba, come ogni giorno, al risveglio dopo una buona tazza di caffè, gli esercizi ginnici, il taglio della barba e una sigaretta, indossati i suoi stivali texani, si porta «spedito» a fare la colazione nel locale preferito o la sera nel bar con i suoi coetanei, tra cui Howard (David Lynch), con cui condivide i giorni sereni della sua vecchiaia. Finché, una mattina, una caduta inaspettata metterà in crisi i suoi quotidiani equilibri. Un preavviso di malattia? Un presagio di decadenza? La morte che si avvicina? Forse, vista l’età, ma anche un’occasione per mettere in luce la paura della «fine». La propria che, inesorabilmente, prima o poi arriva per ciascuno. Anche per chi non l’attende e non la contempla, fintanto che in qualche modo si palesa all’orizzonte. Una visione laica dell’esistenza (ogni giorno Lucky passa davanti alla chiesa senza entrarvi), ma che unisce tutti di fronte al medesimo destino. Come ci si dovrebbe comportare, infatti, dinnanzi al proprio «tramonto»? Il regista John Carroll Lynch sembra proporci una soluzione con «Lucky»: «sorridere» prima di tutto in onore alla propria esistenza. L’opera asciutta, schietta, ma non senza emozione, profuma, infatti, di speranza. Quasi, potremmo dire, una lettera d’amore in generale alla vita che, qualunque essa sia, mai può essere svuotata di senso. Un film, perciò, da non temere.
Temi: vecchiaia, paura, malattia, morte, esistenza, speranza, quotidiano, solitudine, destino.