Protagonista il Presidente, ma anche l’uomo da padre e marito

di Gianluca BERNARDINI

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1864: Abraham Lincoln è stato rieletto per il suo secondo mandato come presidente degli Stati Uniti, c’è in corso la guerra di secessione e il dibattito alla Camera dei rappresentanti per il XIII emendamento sull’abolizione della schiavitù che verrà poi approvato, finalmente, nel 1865. Questo è il tratto di tempo in cui si svolge il nuovo film di Steven Spielberg, basato su uno dei più grandi eroi che si ricordi nella storia nordamericana. Una vera e propria «biopic» (degli ultimi mesi di vita) quella narrata sullo schermo dallo stesso regista che si era già cimentato nel «Colore viola» (1985) e in «Amistad» (1997) sul tema del razzismo. Ma non è solo questo il terreno su cui si basa la storyline. Grazie al sapiente aiuto dello sceneggiatore Tony Kushner (autore in «Munich»), davanti a noi prende forma il Presidente, il battagliero politico nonché l’uomo, padre, marito Lincoln, interpretato magistralmente da Daniel Day-Lewis. È lui che fa visita e dialoga con i soldati (bello e volutamente attuale il dialogo iniziale con il giovane di colore in guerra) sul campo di battaglia; è lui che trama politicamente (anche se non sempre limpidamente) per ottenere «il sogno»; è ancora lui il padre amorevole col figlio più piccolo e duro con gli ideali del più grande Robert (Joseph Gordon-Levitt) che ha a che fare con una moglie «ferita», nonché firstlady piuttosto influente (Sally Field). Sta forse qui la forza di un film che rimarrà certo nella storia (pluricandidato agli Oscar) non solo per il racconto biografico, ma per quella sapiente maestria che si gioca in una regia perfetta. Se non lo premia la lunghezza (due ore e mezza non sono poche), nonché una certa complessità nei dialoghi (almeno nella prima parte) che richiedono una particolare attenzione per chi non è avvezzo alla storia americana e alla politica, il film è indubbiamente pregevole. Se da una parte la battaglia si combatte sui campi di una guerra fratricida, a caro prezzo, è a livello politico, anche se impuro, che essa acquista un valore più alto per il bene della libertà. E se, come ricorda Lincoln (o Spielberg?) citando Euclide, «cose uguali a una stessa cosa sono uguali tra di loro», allora vale la pena spendere una vita e tutto se stessi (anche a costo di invecchiare più velocemente) per il principio assoluto dell’uguaglianza. Una lezione valida ancora oggi. Per tutti.