di Gianluca BERNARDINI
Uscirà nei prossimi giorni un «piccolo» film, con un «potenziale di bene» enorme: «La terra dei santi». Un racconto che vede protagonista gente del Sud o meglio ancora donne e ragazzi alle prese con la malavita calabrese, che li coinvolge nel profondo, fino alle radici della propria essenza. Radici che fanno fatica a essere sradicate, che ti legano a una terra e a un «humus» che porta il colore del sangue. Tratto dal libro «Il cielo a metà» di Monica Zappelli (già sceneggiatrice in «I cento passi»), il film, scritto insieme al regista calabrese Fernando Muraca (al cui padre è stata distrutta l’azienda dal sistema mafioso), mette in scena la storia di Vittoria (Valeria Solarino), giovane magistrato, «costretta» a decidere di sottrarre i figli a donne affiliate con «la ‘ndrangheta» per cercare di salvarli da un oscuro e infausto destino. Scelta estrema e dolorosa, che da donna deve prendere contro altre «madri», ben radicate nel tessuto malavitoso. Due sorelle, in particolare, Caterina (Lorenza Indovina), la più grande e sfrontata, legata al boss, e Assunta (Daniela Marra), apparentemente decisa e sicuramente più ferita, al centro dell’attenzione di chi è lì per rappresentare lo Stato. Ambedue con figli adolescenti, due cugini, uno però votato al servizio dell’altro, secondo i codici interni e il patto «ritualmente» stipulato. Temi già conosciuti, affrontati già molte volte, ma, purtroppo, ancora attuali. Lo sguardo scelto per narrare la storia, tuttavia, è rivolto al mondo femminile. Qui è la donna messa al centro: che sia Caterina, piuttosto che Assunta o addirittura Vittoria. Quest’ultima pur minacciata, caparbia nel suo lavoro, decisa, contro ogni rischio, è libera di correre in spiaggia, le altre, invece, rinchiuse nel loro mondo, piuttosto cupo e nascosto, «costrette» a correre tra le quattro mura di casa (interessante il parallelo tra le due «corse»). In comune però, oltre al genere, le lacrime che si sciolgono in un abbraccio commovente tra Vittoria e Assunta, presagio di un’apertura che, se non risolutiva, possa in qualche modo riscattare un’esistenza dolorosa e fatta di poche speranze. Monsignor Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso, che ha passato ben venticinque anni della sua vita in Calabria, ne elogia il risultato soprattutto per l’attenzione all’aspetto antropologico dove gli sguardi, i gesti o le relazioni vogliono far capire e combattere le radici del male. Un film da sostenere, dunque, e da promuovere.
Temi: lotta, donna, ‘ndrangheta, sistema mafioso, figli, male, speranza.