di Gianluca BERNARDINI
Campione d’incassi in Francia con oltre sette milioni di spettatori e ben sei nomination ai Cèsar, è uscito in questi giorni in Italia «La famiglia Bélier» di Eric Lartigau. Ispirato al libro di Véronique Poulain «Les mots qu’on ne me dit pas» («Le parole che non mi dicono»), e scritto a quattro mani da Stanislas Carre De Malberg con Victoria Bedos, il film mette in scena la storia di una famiglia «particolare» e molto sui generis che vive in un villaggio della Normandia: agricoltori, produttori di formaggio e sostanzialmente sordomuti, tranne la sedicenne Paula (Louane Emera, per la prima volta sul grande schermo dopo aver partecipato al «The voice» francese) a cui mamma e papà (Karin Viard e François Damiens), nonché il fratello più piccolo (Luca Gelberg, l’unico nella realtà non udente) fanno affidamento per «parlare» con il mondo circostante. Paula è un’adolescente come tante, però, che studia, ha un’amica del cuore e vive i suoi primi innamoramenti. Affascinata da Gabriel (Ilian Bergala), infatti, s’iscrive al coro della scuola. Lì, quasi per miracolo, grazie al caparbio professore di musica (Eric Elmosnino), scoprirà di aver ricevuto in dono non solo la parola, ma anche una bella voce. Per questo deciderà non solo di prepararsi al duetto con il suo spasimante per il saggio scolastico, ma anche per partecipare al concorso canoro di Radio France che vede in premio la possibilità di iscriversi a una delle più importanti scuole di musica a Parigi. Proprio questa scelta metterà in crisi non solo la stessa Paula che si sente «necessaria» per la sua famiglia, ma anche i suoi genitori che hanno riposto in lei ogni speranza per il loro futuro. Tra gags (a volte troppo facili e scontate), qualche spinta emotiva e le canzoni del celebre chanteur parigino Michel Sardou, la commedia scorre via tra risate e qualche soluzione registica di impatto (l’esibizione finale del duetto). Tuttavia se ha un pregio, «La famiglia Bélier», è quello di trattare, attraverso il tema della sordità («essere sordomuti non è un handicap, ma un’identità», afferma il padre), anche quello del rapporto tra genitori e figli ponendo sul piatto le domande importanti quando questi ultimi crescono e devono lasciare il «nido». A volte anche il troppo amore rischia di soffocare l’altro. Come lasciare, allora, a ciascuno lo spazio per la propria libertà? Sono le note della canzone «Je vole», forse, a darci la giusta prospettiva: «Vi voglio bene ma parto, non fuggo ma volo, non sono più una bambina stasera».
Temi: famiglia, sordità, rapporto genitori-figli, adolescenza, amore, musica, doni, discernimento.