di Gianluca Bernardini
Ci sono diritti che vanno rispettati. Quelli umani sicuramente su tutti, ma non solo. Ci sono quelli della natura, di «madre terra» che oggi, forse più che mai, gridano aiuto, mentre il mondo degli uomini sembra quasi ignorarli.
Ciò che è bene comune spesso viene frainteso, nonché sostituito, con gli interessi economici che non sempre sono sinonimo di «benessere», nel senso più vero e profondo della parola. Nasce da questa riflessione l’ultimo film di Benedikt Erlingsson, acclamato allo scorso festival di Cannes, «La donna elettrica» («Woman at war»), una commedia (non leggera) per raccontare quello che seriamente sta diventando piuttosto tragedia in certi Paesi in cui «l’ambiente» sembra essere messo sotto torchio.
Halla (Halldòra Geirharðsdòttir), cinquantenne appassionata direttrice di un coro, sembra una donna come le altre, dedita alle proprie attività, mentre nel segreto, armata di tutto punto, arco compreso, compie azioni spericolate di sabotaggio contro le multinazionali che stanno devastando la sua splendida (come la fotografia ben dimostra) Islanda. Finché un giorno la domanda di adozione, che sembrava ormai diventata un sogno, diventa realtà e una bimba ucraina sembra palesarsi all’orizzonte come una nuova responsabilità cui dover fare i conti.
Così Erlingsson fa dell’eco-terrorista una simpatica contemporanea eroina, accompagnando il racconto con una colonna sonora di tutto rispetto che si materializza in scena nel trio (fantastici) che accompagna musicalmente i vari passaggi. «La donna elettrica» diventa così una fiaba al femminile, capace di sfrondare temi importanti mettendo il sorriso sulle labbra a fronte di simpatici eventi del tutto surreali. Un delizioso film da vedere, che fa poi pensare a temi non sempre facili da trattare.
Temi: natura, ecosistema, terra, ambiente, lotta, responsabilità, diritti, Islanda, donna.