Recuperiamo un film di valore, visto da pochi in sala, ma che vale la pena (ri)vedere in questi giorni. Il film di oggi è La Donna Elettrica.
Di Gianluca Bernardini
Che film vale la pena recuperare durante la quarantena? Con «(ri)parliamone con un film» vogliamo «(ri)scoprire» il bel «La donna elettrica», di Benedikt Erlingsson. La storia è quanto mai attuale. Halla è islandese, dirige un coro, è dedita alle proprie attività. Insomma: una donna come tutte. Eppure in segreto imbraccia un arco e compie azioni spericolate di sabotaggio contro le multinazionali che stanno devastando la sua splendida terra. La sua quotidianità da «terrorista internazionale» viene sconvolta da una domanda di adozione, ormai considerata lontana nel tempo. Una bimba ucraina sembra palesarsi all’orizzonte come una nuova responsabilità cui dover fare i conti.
Thriller, commedia, opera di denuncia, il film vince nel suo essere sostanzialmente una fiaba ecologista al femminile contenente tante atmosfere diverse. La sceneggiatura potrebbe essere definita «a tesi»: è chiaro che la regia sta dalla parte della donna e delle istanze ecologiste che porta con sé. Eppure c’è una costante raffinatezza nella psicologia delle persone. Halla, ad esempio, vede lungo la sua strada dei musicisti. Solo lei può ascoltare la loro musica. E il ritmo da loro dettato corrisponde alle sensazioni interiori della donna. Quando si realizza il contrasto tra «la musica interiore» e l’apparire esteriore, ecco che la protagonista ci dimostra la sua estrema umanità. Erlingsson denuncia con forza una certa retorica del progresso, che ci accomuna tutti, e che spesso si realizza a scapito dell’ambiente. Per questo motivo è impossibile non venire interrogati dal tema della responsabilità. Halla si crede responsabile del mondo; imparerà a prendersi cura di una bambina.
Così a noi spettatori viene chiesto il percorso inverso: di sentirci responsabili prima di tutto del prossimo; e quindi del mondo intero.