Il valore della Croce, simbolo universale, è spesso oggetto di fraintendimenti e interpretazioni personali o troppo legate alla tradizione. Dio è donna e si chiama Petrunya è un film graffiante, capace di toccare temi molto profondi, che invita lo spettatore ad andare oltre l'apparenza. Ne parliamo con un film!
Di Gianluca Bernardini
Petrunya (Zorica Nusheva) è una giovane donna disoccupata, laureata in storia, che vive nella cittadina macedone di Štip.
Mentre torna a casa dopo un ennesimo colloquio di lavoro andato male, incappa nella tradizionale funzione religiosa ortodossa del «lancio della croce» in acqua che si svolge ogni anno il 19 gennaio.
Presa dal momento, Petrunya decide di buttarsi in acqua e si accaparra la croce come segno di fortuna. Il suo gesto, considerato oltraggioso dalla comunità locale e dalle autorità religiose, non essendo di fatto permesso alle donne di partecipare al rituale, la porterà al comando di polizia per essere interrogata.
Dentro un susseguirsi di colloqui in lei emergerà sempre più la voglia di riscatto come donna, ferita nella propria dignità. Ispirato a fatti reali, il film, premiato dalla regia ecumenica all’ultimo festival di Berlino, porta in scena tre domande fondamentali (presenti nelle interviste) su cui si basa l’intera narrazione: «Perché Dio non potrebbe essere donna? Perché una donna non può prendere la croce? Una donna non ha il diritto alla felicità?».
Con sarcasmo, ma con estrema lucidità Teona Strugar Mitevska con «Dio è donna e si chiama Petrunya» fa centro con un racconto «femminista», capace però di portare lo spettatore ad andare oltre ciò che è giusto, secondo la tradizione, nonché sacro. Il valore della croce va al di là, infatti, dei significati che le attribuiscono gli umani. Se è strumento di salvezza, è proprio vero, lo è per tutti. Anche per una donna che, in fondo, forse nemmeno crede. Interessante. E non è poco.
Temi: donna, sacro, croce, tradizione, dignità, riscatto, religiosità, simboli, lotta.