Che senso ha vivere se la vita che hai tra le mani non sembra più essere degna di essere vissuta? Per chi, per quale fine o, in ultima analisi, per quale scopo vivere?
Di Gianluca Bernardini
Potrebbe ruotare attorno a queste domande esistenziali l’ultima fatica filmica di Paolo Genovese (ricordiamo lo straordinario successo di “Perfetti sconosciuti”) che, dopo averne scritto il libro, torna sullo schermo con “Il primo giorno della mia vita”. Un racconto corale (con attori diversamente conosciuti e bravi), che narra la storia di quattro suicidi: chi perché travolto dal successo non trova più una verità in quello che dice e promette, chi perché stanco di essere sempre al secondo posto, chi perché nonostante il successo come youtuber non si sente compreso né stimato, chi, infine, non trova pace perché ha perso chi di più caro potesse avere nella propria esistenza.
A tutti viene fatta una proposta da un misterioso “traghettatore” (Toni Servillo): una settimana, sospesa nel tempo, per potersi pentire e, guardandosi in profondità, tornare magari indietro. “Anche questi personaggi, come i protagonisti dei miei ultimi film, – dice Genovese – hanno toccato il fondo del dolore. Eppure si rialzano. Per loro c’è un futuro: l’ultimo giorno può anche essere il primo, quello della rinascita e dalla riscoperta di sé”.
Storie intrecciate, raccontate abbastanza bene (alcune più efficaci), in un clima, però, piuttosto cupo, dove l’emozione fatica ad elevarsi. Se qualcuno avrà letto il romanzo di Nick Hornby, “Non buttiamoci giù” (da cui il film del 2014), troverà certamente delle assonanze. Un film che si lascia, dunque, seguire senza però quel guizzo di originalità, su un tema ancora di forte impatto. Restano aperte, perciò, le domandi iniziali, alle quali nessuno, se non personalmente, potrà mai rispondere. Vedere il film e parlarne subito dopo potrà essere utile? Forse, perché no? Interessante per dibattiti, anche tra amici.
Temi: vita, morte, suicidio, pentimento, seconda possibilità, rinascita, scoperta di sé