Pádraic e Colm sono da anni amici inseparabili. Un giorno quest’ultimo interrompe bruscamente la relazione; smette di parlare all’altro e manifesta verso di lui un’esplicita antipatia. Cosa è successo? Ma soprattutto: come rimediare?
Di Gabriele Lingiardi
Candidato a nove premi Oscar “Gli spiriti dell’isola” è un film esistenzialista. Il regista Martin McDonagh, quello dei “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” scrive un testo altrettanto grottesco e stratificato. Con molte domande e poche risposte affronta la disperata ricerca di un senso che guidi la vita.
In un’isola di finzione a pochi chilometri dall’Irlanda in cui si sta svolgendo la guerra civile del 1922 – 24, i cittadini ascoltano lontani e al sicuro i boati dei combattimenti. Probabilmente è uno di questi che ha dato origine a un disagio lancinante in Colm. Guarda l’orizzonte e si sente mortale, avverte il tempo che gli sfugge.
Non vuole più perderlo in relazioni “inutili”, ma si butta in un ultimo, disperato, tentativo di costruire qualcosa che resti. Una sinfonia che renda il suo ricordo eterno. “Gli spiriti dell’Isola” usa una situazione assurda e paradossale (i due non hanno nulla l’uno contro l’altro, eppure la loro divergenza senza causa sfocia in una lotta senza limiti) per esplorare le domande di senso.
È un testo cinematografico di grande bellezza estetica e, soprattutto, capace di inquadrare un tipo particolare di solitudine. Quella dell’anima, di chi percepisce il proprio limite, senza la consolazione di una fede. I suoi personaggi sono sordi alle rispettive richieste e quasi degni di una parabola. Il film ha un humor nero che dà alla materia filosofica seria un’(auto)ironia fondamentale perché la si prenda sul serio.
Uno dei tanti paradossi felici di questa storia sull’angoscia dell’esistere. Forse è proprio questa paura della morte, ci suggerisce il regista nel finale sospeso, la causa di tanti mali reali che ci appaiono assurdi e surreali quando siamo distanti.
Temi: ansia, solitudine, amicizia, distanza, rivalità, spiritualità, guerra, male