Il primo Re di Matteo Rovere è un'opera complessa e difficile. Come presentarla al proprio pubblico? Ne parliamo in "Altri occhi, visioni e provocazioni per animatori di sala".
di Gabriele Lingiardi
Si può riflettere sulla realtà che ci circonda guardando un film parlato in protolatino (la lingua primitiva che ha anticipato il latino), fatto di fango, sudore e sangue? Può un film caratterizzato da un impianto colossale, ma da una prospettiva totalmente autoriale, trovare spazio all’interno della programmazione delle sale di comunità? Forse, con un po’di coraggio, la risposta è sì. Ne parliamo nella rubrica: con altri occhi, visioni e provocazioni per animatori di sala.
Che film è Il primo Re?
Matteo Rovere è uno dei registi e produttori più versatili del panorama italiano. Il suo precedente film da regista, Veloce come il vento, era riuscito nell’obiettivo di dare una spinta adrenalinica a un film italiano. Il suo ultimo progetto, Il primo re, è un blockbuster d’autore. Blockbuster perché il costo imponente della produzione (si parla di 8 milioni di euro) è notevole, d’autore perché a differenza della brutta abitudine hollywoodiana di usare gli alti budget per giocare su terreni sicuri, il film di Rovere osa e rischia dal punto di vista economico, ma presenta anche una chiara visione personale dell’autore.
Sì ma la violenza?
Il primo Re è un film violento, il racconto dell’affetto e della successiva rivalità tra Romolo e Remo che ha portato alla fondazione dell’impero Romano. Nel film storia e mito si fondono: se l’inizio è estremamente realistico (un’esondazione del Tevere di impressionante realismo), verso la fine il racconto si innesta con la leggenda, e la mitologia. Come Apocalypto di Mel Gibson raccontava gli albori di una civiltà con schiettezza, così Matteo Rovere rifugge da qualsiasi tentazione “glamour”. Quante volte abbiamo visto un film storico e abbiamo pensato che ci sarebbe piaciuto vivere in quell’epoca? Il primo Re, decisamente, non è così. La regia è distaccata e imparziale, ci mostra la brutalità dell’uomo senza filtro. Non c’è rimorso negli omicidi, ma allo stesso tempo nei personaggi vediamo il timore delle credenze antiche. Il fuoco è un Dio temuto, la superstizione è il criterio per le decisioni più importanti. La violenza, per quanto presente, non è mai esaltata o glorificata, ma mostrata nella sua bestialità e respinta dallo spettatore maturo (attenzione, è un film per “grandi”).
L’inciviltà della civiltà
È proprio in questo contrasto che Il primo Re trova la sua ragion d’essere: la civiltà primitiva proiettata sullo schermo costringe lo spettatore a guardare a quella in cui vive. Impossibile non pensare al momento in cui, nella storia della civiltà figlia di Roma, è arrivato un momento di netta scissione, un “salto in avanti”, corrispondente all’avvento del cristianesimo. Nel film l’impatto con il trascendente plasma l’uomo e lo rende sì poco razionale, ma anche meno animalesco. Nella paura si può intravvedere la ragione oltre l’istinto. Nella pietà di un fratello verso l’altro la spinta verso un mondo nuovo.
Come presentarlo al pubblico?
Il primo Re non è un film semplice, e soprattutto non per tutti. Eppure, entrando nei meandri della pellicola, che potrebbe respingere molti, si possono trovare molti spunti di dibattito. Eventuali sentimenti negativi possono essere incanalati nel dibattito per provare a indagare alcune domande pressanti nel cinema di oggi. Che storia vogliamo che ci venga raccontata? Che rapporto abbiamo con la violenza (una violenza reale fa più paura di quella coreografata del cinema action)? Perché nell’Italia di oggi sentiamo il bisogno di ricordare i faticosi passi per la fondazione di un impero?