Il regista giapponese Hirokazu Kore-eda, nel suo primo film in lingua coreana, affronta in maniera tenera e rocambolesca il tema del sistema delle adozioni nella Corea del Sud
Di Gianluca Bernardini
Ci sono storie che si legano al cuore e hanno il profumo intenso della vita. Uno dei maestri nel raccontarle è senz’altro Hirokazu Kore-eda che, questa volta, si è spostato in Corea per girare il suo ultimo film “Broker-Le buone stelle”, presentato con successo nel maggio scorso a Cannes e ora in uscita anche nelle nostre sale.
Ancora una volta concentrato sui legami famigliari (non possiamo non ricordare il successo con “Affari di famiglia”, vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes del 2018), il cineasta giapponese parte da un fatto di cronaca per narrare schermo una storia di abbandono e riscatto. Una notte nella città di Busan la giovane So-young (Lee Ji-eun) lascia il suo piccolo fuori da una “baby box” (una sorta di “ruota” per neonati abbandonati) di una chiesa protestante. Dopo qualche ora la donna si pente del gesto, ma tornata sul posto scopre che il bimbo è stato preso in custodia da Sang-hyeon (Song Kang-ho, conosciuto in “Parasite” e qui premio per la miglior interpretazione maschile) e Dong-soo (Gang Dong-won), una coppia di “soci” che dietro la scusa delle buone azioni nasconde un traffico di bambini per coppie desiderose di figli.
Inseguiti da due poliziotte, tutta la combriccola inizierà una sorta di road-movie, che inevitabilmente segnerà per sempre le loro vite, tra intrecci emozionanti, sorrisi e colpi di scena. Un film sicuramente “pro life”, che nasconde dietro i volti di ciascun protagonista storie di abbandono e desideri di cambiamento. Nonostante una trama forse un po’ troppo “tortuosa”, il film ci pone di fronte alla complessità delle relazioni familiari, sempre difficili quanto necessarie, nonché molte volte, alla fin fine, àncora di salvezza. Da vedere.
Temi: famiglia, legami, abbandono, pentimento, vita, riscatto, adozione, amore