Storia di famiglia con genitori alquanto originali e figli muti spettatori

di Gianluca BERNARDINI

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È il 1974 a Roma. Nell’anno in cui viene abrogata la legge sul divorzio e sembra che tutto cambi, Guido (Kim Rossi Suart) e Serena (Micaela Ramazzotti), insieme ai figli Dario di dieci anni (Samuel Garofalo) e Paolo di cinque (Niccolò Calcagna, bravissimo), cercano una loro dimensione di vita. Lui artista d’avanguardia, incompreso e senza un soldo, e lei mamma possessiva, confusa e attaccata più alla sua gelosia che al marito, non hanno una lira, vivono piuttosto alle spalle delle loro «incombenti» famiglie d’origine che in diverso modo ruotano attorno allo loro ricerca di felicità. Testimoni degli eventi sono i ragazzi e soprattutto Dario (Daniele Luchetti in erba), voce narrante, che attraverso la tanto desiderata cinepresa ricevuta in dono dalla nonna, racconta in Super8 (veri e propri spezzoni «rivelativi», inseriti nel racconto) gli istanti amari e sereni dei loro alquanto «originali» genitori. C’è molto di autobiografico del regista romano che torna in sala con «Anni felici», dopo il successo di «Mio fratello è figlio unico» e «La nostra vita», e tuttavia molto altro rispetto ad una semplice narrazione che riguarda la propria infanzia. Più per le domande e i temi di confronto posti, che per i nudi (non sempre necessari, anche se non pornografici) che esibisce. Quelle domande che toccano (volutamente?) in primis il rapporto che intercorre tra ciò che è libertà, verità e giustizia: nel mostrarsi, dirsi ed esserci. «Non è sempre facile capire cosa vogliamo davvero», sussurra ad un certo punto la gallerista amica-amante (Martina Gedeck) provocando Serena. Ma è pur vero che, afferma a lezione Guido, come «basta spostare il punto d’appoggio nell’arte tutto cambia, così accade nell’esistenza». È su questo precario e sano equilibrio, infatti, che si gioca la vita. La nostra come quella dei nostri bravissimi protagonisti (il film si regge tutto su di loro). Ma anche, soprattutto, sulla responsabilità nel gestire i propri desideri e le proprie aspirazioni, quando specialmente si ha a che fare con i più piccoli che rischiano, purtroppo, di restare «muti spettatori» di una adulta drammaturgia non sempre tale per il livello a cui si pone. Diceva, a ragione, Einstein: «La cosa più bella con cui possiamo entrare in contatto è il mistero. È la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la vera scienza». Questo va custodito, cercato e accolto. Anche a ciò, forse, ci richiama il film di Luchetti; che lo sappia o meno.

Temi: coppia, famiglia, educazione, rapporto arte-vita, coscienza, valori, responsabilità, libertà.