di Gianluca BERNARDINI

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Stroncato dalla critica, ma amato dal pubblico (almeno sui social) è uscito nelle sale i giorni scorsi l’ultimo lungometraggio di Vittorio Sindoni (regista per lo più televisivo) «Abbraccialo per me». Un film sulla disabilità mentale, ma soprattutto la storia tra una madre, Caterina (Stefania Rocca), e un figlio, Francesco (il talentuoso Moisè Curia di «Braccialetti rossi»), detto «Ciccio Tamburo» per la sua passione per la musica, soprattutto per la batteria che sa suonare egregiamente. Un legame forte e fragile allo stesso tempo, protettivo e controverso nella medesima misura. La lotta di una mamma che per difendere la «propria creatura», quella più debole, è pronta ad andare contro tutti, persino gli affetti più cari e la mentalità della gente del piccolo borgo siciliano dove la famiglia vive. Una scelta indiscutibile, quella di Caterina, che non ha paura di nulla, se non quella di perdere «il suo Ciccio». Un film «vero», capace di toccare le corde del cuore, forse troppo carico di elementi non necessari alla «causa». «Abbraccialo per me» è un racconto, dunque, importante, più per il tema che racconta che per quello che mette in scena, ovvero quello che può accadere ad una famiglia quando l’ospite «sgradito» della malattia mentale entra tra le mura di casa e sconvolge ogni equilibrio, fino a gettare tutti quanti nel buio. Se ha un pregio quest’opera è proprio lo «sguardo di luce» che riesce a mettere in campo: l’idea che una via d’uscita, nonostante tutto, esista sempre. Quella «struggente» che intravede Tania (Giulia Bertini), la sorella di Ciccio, che per «salvarlo» mette a rischio anche il rapporto con sua madre. Un film che sa porre anche delle domande di fede: dov’è e che c’entra l’amore di Dio in tutto questo (belli i dialoghi col parroco)? Da vedere e soprattutto da discutere con chi sulla propria pelle, forse, vive situazioni ben peggiori di questa narrata da Sindoni. Un consiglio poi: al termine lasciate che la canzone omonima di chiusura («Abbraccialo per me») della giovane band «Freschi Lazzi e Spilli» (alcuni presenti nel film) accompagni gli ultimi istanti di visione sui titoli di coda. Na vale la pena, per quello che dice e per l’orizzonte di senso a cui si ispira.