Ritorna Terrence Malick, con un film narrativo, molto più semplice dei precedenti Tree of Life, Song to Song, e di anche maggiore impatto. Un film fiume coinvolgente e poetico.
Di Gianluca Bernardini
Ci sono storie che colpiscono al cuore come immagini che portate sullo schermo restano dentro e accompagnano a lungo pensieri ed emozioni. Alcuni film, infatti, hanno questo potere. Tra questi possiamo annoverare «La vita nascosta – Hidden Life» di Terrence Malick, l’ultimo capolavoro del maestro americano che questa volta sembra tornare ad uno stile più narrativo, capace di coinvolgere lo spettatore fin dalle prime scene, non dimenticando, però, quello stato di grazia a cui ci ha abituati da tempo.
Accade così, infatti, con la vera storia di Franz Jägerstätte (August Diehl). Il contadino austriaco, chiamato alle armi, che si ribella con tutta la sua forza all’invasione nazista, diventa per Malick il protagonista di un racconto «parabolico» capace di interrogare le coscienze.
Un uomo dalla vita semplice, di fede, innamorato della sua famiglia e della vita rurale che conduce, diventa a sua insaputa un eroe del quotidiano per le scelte difficili che man mano accompagnano i suoi giorni. Un vero percorso che il cineasta, esperto del profondo, conduce con quella maestria che sa indagare quel «cinema dello spirito» che pochi come lui, forse, sanno ancora fare.
L’immagine che qui diventa parola e la parola stessa che dà vigore all’immagine, ogni volta che ne risalta tutto il potenziale nascosto, si intrecciano nei dettagli con cui Malick sa ben destreggiarsi. Un cinema che diventa per tutti «un’esperienza spirituale», soprattutto per chi ama la settima arte ma non solo, con quelle domande di senso che qui non vengono certamente eluse. Da non perdere.
Temi: obiezione di coscienza, nazismo, scelte, affetti, fede, natura, spirito, passione.