di Gianluca BERNARDINI
Ci sono discriminazioni lampanti, sotto gli occhi di tutti e quelle più sottili, quelle ovvero che si insinuano nel nascondimento del quotidiano, che diventano col tempo pure prassi di vita, per chi ne abusa e per chi le subisce, nascoste sotto il velo dell’omertà e della vergogna. Molte donne, ma non solo, sanno di che stiamo parlando. Sono quegli episodi messi in luce dalla cronaca, non solo cinematografica, che ha scoperchiato quelle che «una volta – per dirlo con una battuta del film – erano chiamate avances» e che ora vengono propriamente considerate come abusi. Veri e propri ricatti sessuali o molestie sul mondo del lavoro che Marco Tullio Giordana ha voluto mettere in scena nella sua ultima opera dal titolo «Nome di donna». Nina (Cristiana Capotondi) si trasferisce da Milano, insieme alla bimba, in un piccolo paese della provincia lombarda dove le viene trovato un lavoro, nonché una casa, presso una ricca residenza per anziani. Qui, dopo l’accoglienza «ruspante» del prete manager don Roberto (Bebo Storti), Nina sembra potere mettere le basi per poter rialzarsi dalle fatiche di una vita che non sempre le ha sorriso. All’inizio, ben accolta dalle colleghe e inserita nella elegante struttura, tutto sembra procedere per il meglio finché non avrà a che fare con il dirigente Marco Maria Torri (Valerio Binasco) che subdolamente, come da copione, avanzerà le sue non proprio amorevoli richieste, come ha fatto in passato con le altre. Colpita nella sua sensibilità, Nina si farà coraggio per scoperchiare quel gretto e piccolo mondo ingiusto, fatto di segreti e complicità occulte. Un film di denuncia, dunque, per rendere giustizia a quell’universo femminile che troppe volte si è abbassato a taciti compromessi per ottenere semplicemente il giusto o il dovuto. Giordana, grazie alla sceneggiatura firmata con Cristiana Mainardi, ne restituisce uno spaccato piuttosto onesto. Unica pecca, forse, qualche debolezza attoriale e quella mancanza di «sguardo», particolare, che ci si aspetterebbe dal maestro de «La meglio gioventù». Troppa fiction, probabilmente, per una storia che vuol rimandare ad un’amara realtà.
Temi: donna, abusi, molestie, lavoro, diritti, giustizia, coraggio, lotta, coscienza, famiglia.