L'amicizia tra un giornalista israeliano e un attivista palestinese tra le espropriazioni in Cisgiordania. Il racconto di denuncia dell'ingiustizia, di chi non ha "un'altra terra" dove andare, realizzato da un collettivo di filmmaker palestinesi e una regista israeliana.
Di Gabriele Lingiardi
Ci sono tante decisioni di regia che rendono speciale No Other Land, il documentario distribuito da Wanted e candidato agli Oscar che merita di essere visto più di ogni altro film questa settimana.
La prima è che a raccontare la distruzione di Masafer Yatta, non c’è solo un videomaker Palestinese, Basel Adra, uno nato e cresciuto lì, tanto da avere come primo ricordo l’arresto del padre. Insieme a lui c’è un giornalista Israeliano, Yuval Abraham. Un suo amico. Stiamo parlando di un territorio nella Cisgiordania occupata, costituito da 12 villaggi e 2.800 persone. Al suo interno vivono famiglie di contadini. Con la scusa di costruire una zona per l’addestramento militare, l’esercito israeliano da anni sta sistematicamente e ineluttabilmente demolendo gli edifici privando la popolazione delle proprie case, ma anche delle scuole e dei beni di prima necessità. Yuval prova a raccontare ai suoi concittadini Israeliani i crimini commessi. Il rischio che corre è pari, se non maggiore, a quello che corre il suo amico Palestinese nel compiere atti di resistenza non violenta.
La seconda scelta fondamentale è quella di terminare il film a ottobre 2023. Dopo l’attacco di Hamas la rappresaglia a Masafer Yatta è stata durissima, come si dice a un passo dai titoli di coda. Ma a No Other Land interessa dare voce a un’altra storia: non quella “veloce” e “presente” della guerra, bensì quell’erosione, quel lento sfinimento, che colpisce la popolazione da tempo immemore.
Il terzo elemento che non farà dimenticare questo documentario a chi lo vedrà sono le persone riprese. Attraverso un filmato dal telefono vediamo un soldato che spara ad Harun Abu Aram, mentre cerca di opporsi alla confisca di un generatore di corrente. L’uomo è rimasto paralizzato e ha vissuto per due anni nelle grotte, unico riparo al sicuro dalla demolizione. È morto lì a 26 anni. La cinepresa fa fuggire i soldati ripresi, ma non basta a salvare né le case né le persone. Il giornalista israeliano è attaccato, è temuto, è odiato. Il suo obiettivo che riprende la cruda realtà è abbassato a forza come se fosse un’arma puntata.
Eppure a cosa serve sapere, se non è dato modo di agire? A cosa servono le notizie se, dieci minuti dopo averle apprese, si pensa già ad altro? Un’opera che mette di fronte all’impotenza degli spettatori e alla passività dei cittadini liberi.
Temi: Israele, Palestina, diritti umani, occupazione, colonialismo