Siamo lieti di inaugurare oggi Cinepensiero, una nuova rubrica a cura di ACEC Milano in cui analizziamo i film del momento sotto una luce filosofica. Le domande che la visione ci stimola, le riflessioni più spinose, i conflitti che mettono in crisi. La penna di Giovanni Scalera ci sfida a entrare nelle pieghe del film e ci guida nelle questioni più ostiche.

di Giovanni Scalera

cinepensiero

Il nuovo lavoro di Gianni Amelio non è definibile come un film di guerra, ma “sulla guerra”, sull’orrore e sul sacrificio umano che essa porta con sé.

Sebbene manchino i tradizionali campi di battaglia, questi vengono continuamente evocati attraverso i racconti frammentari dei feriti, nei primi piani focalizzati sui loro sguardi tormentati, esausti, nella paura che li accompagna e nelle tremende mutilazioni dei loro corpi.

In una cornice quasi più teatrale che cinematografica prevalgono i dialoghi, come nei dialetti dei soldati, a volte inspiegabilmente compresi anche dai due medici dell’ospedale militare e protagonisti del vero campo di battaglia del film: non tanto quello fisico ma piuttosto quello concettuale.
Stefano e la sua etica patriottica, pronto a scoprire i bugiardi per rispedirli al fronte o persino al plotone di esecuzione.
Giulio, guidato da un maggior afflato umanitario, disposto ad acutizzare le ferite degli stessi soldati per farli tornare a casa invalidi, storpi, ma vivi.

Stefano e Giulio, così legati, ma anche così diversi, mostrano per la durata dell’intera narrazione atteggiamenti divergenti nei confronti della realtà della guerra e della vita. Il primo ha fede nella ragion di Stato, è mosso da ambizioni politiche, incarnando una sorta di “volontà di potenza”, di dominio, libero da ogni riferimento di pretesa morale. In Giulio emergono, invece, altre ambizioni, tra cui la sfida di continuare la ricerca di laboratorio e studiare i bacilli per trovarne gli antidoti. Per lui il fine sembra essere più legato al bene comune e alla cura per la vita umana, in una concezione che guarda all’eudaimonia aristotelica, realizzabile solo attraverso l’esercizio delle virtù.

Giulio si presenta come un angelo di speranza per i tanti mutilati di guerra, animato da un vero sentimento di solidarietà e di fede nella vita. “Qui nessuno muore“, dice a un certo punto ad una malata di febbre spagnola.

Il film di Amelio sembra muoversi, perciò, su premesse positive con un messaggio altrettanto condivisibile: piuttosto che aspirare al potere, che genera guerre, distruzioni, perdita di ogni compassione, l’intera umanità ha bisogno di tendere alla cura, al raggiungimento di quell’ideale di sconfiggere la morte, non tanto del corpo, ma quella interiore. Mettere al primo posto la solidarietà, la salvezza dell’altro, nell’incontro-scontro tra il bene e il male, in quel feroce campo di battaglia che è, del resto, la nostra esistenza. Quella di tutti.