Una storia e tre punti di vista. Arriva nelle sale la nuova indagine sull'animo umano del maestro giapponese Hirokazu Kore'eda, un gioco di prospettive dove non si è mai sicuri a chi si può credere e da chi si deve diffidare. La verità, frantumata e parcellizzata, si fa fumosa, ma lascia spazio all'autenticità dei legami.

Di Gianluca Bernardini

L'innocenza

Noi, molte volte, pensiamo di sapere tutto. In base a quello che vediamo, ascoltiamo, percepiamo abbiamo spesso la presunzione di conoscere la realtà. E magari, pure di avere in tasca la verità. Ma siamo poi così sicuri che tutto sia così come sembra o come appaia evidente?

Questo, potremmo, dire è il focus (ma anche altro) su cui gioca Hirokazu Kore-eda nel suo ultimo lungometraggio “L’innocenza”, ora nelle sale, che ha vinto il premio come miglior sceneggiatura all’ultimo festival di Cannes. Ambientato in Giappone, nella piccola cittadina di Suwa, il film narra la storia, ripetuta secondo i diversi punti di vista, dell’incontro tra due preadolescenti, Minato e Eri, compagni di classe che si ritrovano dentro una vicenda di bullismo vissuto a scuola. Per la madre di Minato, che si comporta sempre più stranamente, la colpa è dell’insegnante e dello stesso sistema scolastico; per il maestro, invece, il ragazzino è un vero e proprio bullo, coperto dalla madre. I fatti sono evidenti, i segni più eclatanti, il giudizio – anche dello spettatore – in agguato.

Ma cosa sta realmente succedendo dentro quel microcosmo? Manca il punto di vista dei ragazzi, che stanno vivendo l’età della pubertà, che il regista giapponese rappresenta molto bene con l’incendio iniziale di un palazzo, a cui tutti i protagonisti hanno in diverso modo assistito. Una vera e propria esplosione di calore, che, come “un mostro” (da cui il vero titolo del film), si presenta per tutti, più o meno prepotentemente, in quel passaggio della vita al mondo adulto, che vede ciascuno alla ricerca del sé. Scritto da Yuji Sakamoto, uno dei più grandi autori della tv giapponese, con musiche del maestro Ryuichi Sakamoto, che da malato è riuscito a comporre solo due brani prima della scomparsa, il film brilla non solo per la sua bellezza, ma anche per la delicatezza con cui Kore-eda si è approcciato alla stessa storia. Ciò che ne restituisce – come del resto in altre opere, tra cui “Un affare di famiglia” del 2018 – è un racconto che colpisce al cuore, apre a molteplici riflessioni, ma soprattutto ha la capacità di riempiere l’animo. Assolutamente da vedere.

Kore'eda

Temi: amicizia, famiglia, scuola, preadolescenza, bullismo, pregiudizi, verità, verosimile