di Gianluca BERNARDINI
Nella Polonia del 1962 Anna (Agata Trzebuchowska) sta per prendere i voti nel convento di monache dove è cresciuta da orfana, ma prima del «grande passo» la madre superiora la spinge a conoscere a Varsavia l’unica zia di cui non aveva mai saputo l’esistenza: Wanda (Agata Kulesza) «la sanguinaria», magistrato ed ex combattente nella Resistenza antinazista. Quest’ultima, spregiudicata, dedita ai piaceri dell’esistenza forse per cercare di dimenticare l’amarezza di un passato piuttosto atroce, la aiuterà in un viaggio della memoria (e della coscienza) a scoprire le proprie origini: Anna non solo in realtà si chiama Ida, ma oltretutto è ebrea. La sfida è lanciata; non è più possibile tornare indietro. Inizia così per Ida quel cammino di «riappropriazione» del suo «io» autentico (e forse della sua vocazione) che la porterà ad accettare le diverse provocazioni della zia («Che sacrificio è il tuo se non provi?»). Pawlikowski, polacco ma con una lunga formazione inglese, in quest’ultimo film, con una regia asciutta e una bravura non comune, mette in luce il dramma di una giovane donna, ma anche di un Paese ferito e segnato (ancora oggi?) dai suoi trascorsi eventi. Qui a raccontare non sono solo i protagonisti (meravigliosi), ma le immagini (l’uso del bianco e nero quanto mai azzeccato) che sanno «parlare» con la loro potenza, anche nello spazio di eloquenti silenzi, al cuore dello spettatore. Ci sono ferite da colmare (come sono morti e dove sono sepolti i propri genitori?), ci sono pure «tempi» da recuperare (l’incontro con il giovane musicista, interpretato da Dawid Ogrodnik), i dubbi esistenziali da risolvere (crisi), ma c’è pure una vita ancora da vivere con fierezza (sapendo perfettamente chi si è). Un film che richiama a una vera e propria riconciliazione con la (propria) storia. Film d’autore: per un pubblico cinefilo, ma non solo.
Temi: passato, memoria, nazismo, ebrei, comunismo, riconciliazione, vocazione, fede.