Il cinema nel cinema. Così ci ha abituati Woody Allen da un po’ di tempo a questa parte portandoci con “Rifkin's Festival” ancora una volta dentro la settima arte, omaggiandola di un amore infinito.
Di Gianluca Bernardini
Attraverso il suo alter ego e protagonista Mort Rifkin (Wallece Shawn), docente universitario di cinema, trasferitosi in Spagna a San Sebastián (qui ancora più splendida) per accompagnare nel suo lavoro la moglie Sue (Gina Gershon) durante il festival, Allen non solo ci fa sorridere di tanti luoghi comuni che ruotano intorno alla passione che l’ha spinto da sempre nella vita, ma anche del tema dell’amore-tormento che ci accompagna, inesorabilmente, nel bene e nel male. Quasi come fosse una seduta psicanalitica, ci troviamo così anche noi a guardare una storia che, dentro alle nostre insoddisfazioni, va alla ricerca di quella innocente passione che possa muovere di continuo le nostre esistenze.
Che sia per un nuovo amore o per quel cinema-classico che fa ancora battere forte il cuore di grandi emozioni, come quello del nostro protagonista. Ci sono i tradimenti, la critica sottile, gli imprevisti fortunati e l’irresistibile ironia: tutti ingredienti che faranno felici i fan del cineasta ebreo-americano. Vi sono pure i riferimenti alla religione poiché, come ha ammesso recentemente lui stesso, “in ogni mio film si parla anche di Dio”. Che si vuole, del resto, da un racconto così semplice? Forse nulla di più che godere di un buon cinema, solo in apparenza superficiale. Sarà per questo che entra nella storia il tema dei “sogni”, che Allen vede però in bianco e nero (un omaggio).
Probabilmente perché, in fondo, solo la realtà può renderli a colori. E a volte questa è ben diversa da come l’avevamo immaginata. Da vedere, se non altro per puro “divertissement”.
Temi: amore, cinema, tradimento, sentimenti, salute, passione, arte, vita